domenica 8 gennaio 2017

Letizia Battaglia. Per pura passione

"Non ricordo il primo morto. Ricordo tutti gli altri, tanti, ma non il primo. Erano foto concitate, non si sceglieva, si fotografava quello che si poteva. Era una fatica, alla fine ero devastata, ma non usavo il teleobiettivo (che fotografa a distanza). Avevo bisogno di essere vista, sputata in faccia, se serviva. Alla pari con chi era in manette. Certo che c'era la paura, ma alla lunga ti abitui, la accetti".

Ti accoglie così, con un documentario di Sky Arte, assolutamente da non perdere, "Letizia Battaglia. Per pura passione", la mostra che il Maxxi di Roma ha dedicato alla grande fotografa italiana, oggi 81enne.

Nota soprattutto per gli scatti palermitani, negli anni della seconda guerra di mafia, la Battaglia in realtà è stata una reporter a tutto tondo: giornalista, ma anche editrice, regista e autrice teatrale.

"Ho iniziato a 40 anni - racconta nel documentario - quando ho cominciato ad appartenermi". Ovvero quando si separò dal marito, sposato a 16 anni, e si trasferì a Milano, dove iniziò a scrivere e realizzare anche i primi scatti.

Ma il richiamo di Palermo era troppo forte ed è lì, una volta tornata, che la Battaglia scatta le sue foto più famose. "Ero l'unica donna in mezzo a tutti uomini. Dovevi esserci sempre, stare sempre fuori e pronta". Solo così ha potuto realizzare alcune delle immagini più rappresentative della cronaca di quegli anni: dalla foto di Piersanti Mattarella, allora Presidente della Regione Sicilia, appena ucciso dalla mafia, tra le braccia del fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica, al famoso scatto di Andreotti con il mafioso Nino Salvo, "trovata dalla Direzione Scientifica dell'Antimafia negli archivi della Battaglia - scrivono i curatori - e tra i principali capi d'accusa nel processo contro l'esponente democristiano".

E ancora, lo scatto dell'arresto del boss Leoluca Bagarella, divenuto una vera e propria icona della lotta alla mafia: "quando mi vide lì, mi diede un calcio e caddi - racconta la Battaglia - ma avevo già scattato".

"Mi chiedono perché non abbia fotografato la bellezza di Palermo. Perchè il dolore la sovrastava", racconta ancora la reporter, che in realtà scattò delle bellissime immagini anche non cruente - ma comunque dal sapore amaro - di gente comune, feste borghesi, processioni, funerali, matrimoni e soprattutto bambine.

"Tremavo quando fotografavo le bambine". Bambine povere, dagli sguardi di donne stanche, provate. Come la splendida bambina col pallone, forse la sua foto più famosa. "Dopo vent'anni sono tornata a cercarla, ma non l'ho trovata. Forse è stato meglio così, non immaginavo un bel futuro per lei".

"A un certo punto, dopo tanti morti, non sopportavo più i miei negativi. La notte sognavo di bruciarli, ma non potevo farlo. Per questo ho rielaborato alcuni scatti. Avevo la necessità di distruggere il significato di certe foto e allora gliene ho messo davanti uno nuovo: il pube di una donna. Dovevo togliermi questi dolori e allora li ho ricomposti e ri-fotografati nell'acqua. Perchè l'acqua lava".

Al Maxxi di Roma fino al 17 aprile.

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