sabato 27 agosto 2016

Il poster di Amatrice

Nell'ultimo autogrill prima di Amatrice campeggia un poster che ora suona beffardo: 20 agosto, “Siamo tutti aquilani”. Conversazione storica per celebrare “un legame mai spezzato” tra l’Aquila e Amatrice. Un legame che - dopo il terremoto che ha colpito il 24 agosto l’Italia centrale, come l’Abruzzo nel 2009 – sa di dolore duplicato e condiviso.

Il tempo ad Amatrice sembra essere scandito anche dai terremoti e l’Aquila è soltanto l’ultimo di una lunga serie. Qui tutti lo citano e ricordano, insieme a quello del 1979 e del 1997.

Il nonno di Lucia, di Civita di Cascia, per esempio, ricorda bene il ’79, quando “tutto venne giù”. E’ stato grazie alla ricostruzione successiva che oggi Civita, a pochi chilometri dall'epicentro del 24 agosto, è rimasta intatta. Forse meno bella e turistica, ma salva, con i suoi abitanti.

Ad Amatrice la strada è chiusa e per arrivare ai campi sportivi, dove è stata allestita una tendopoli, occorre passare da Campotosto, allungando il tragitto, normalmente di pochi chilometri, di decine e decine.

Vista da sotto, Amatrice sembra sia stata presa e appoggiata sul cucuzzolo della montagna da una mano gigante. Come fosse troppo grande per quel piccolo spazio e ora stesse scivolando giù, a scaglie, casa per casa, sciogliendosi sotto il sole rovente.

A guardare in alto, senza più lacrime e parole, ci sono alcuni parenti delle vittime. Sono venuti da Accumoli per il riconoscimento, ma per via della strada interrotta nemmeno loro possono raggiungere il luogo dove sono state riunite le salme. C’è chi ha estratto dalle macerie la moglie e la sorella morte, e chi avrebbe dovuto rivedere il fratello dopo due mesi di lontananza.

Sopra di noi c’è l’hotel Roma. “Stanno ancora scavando” ci dice Gianni, il cugino del proprietario. “L’hanno estratto vivo dalle macerie , ora è ricoverato, insieme alla moglie e al figlio. Non so quante persone ci fossero – continua – questi sono i giorni in cui il paese si riempie per la sagra della Amatriciana”. Doveva essere la cinquantesima edizione.

“Speriamo che i turisti non ci abbondino. Qui viviamo di turismo”, dice preoccupata la giovane proprietaria di un negozio di prodotti tipici di Norcia. “Io ho avuto solo bottiglie di vino rotte e scaffali rovesciati, niente a che vedere con chi ha perso qualcuno, ma la paura è stata davvero tanta”.

“Mia madre, invece, dovrà chiudere. Aveva un negozio di bomboniere e cristalleria, è rimasta solo polvere”, le fa eco la barista del locale accanto.

A Norcia non ci sono stati morti e si sono registrati pochi danni, frutto anche qui di una ricostruzione antisismica attenta dopo i precedenti terremoti. Ma basta spostarsi nella frazione di Castelluccio e di San Pellegrino per contare sfollati e crolli.

Attraversando queste valli, tempestate di piccoli borghi antichi, proprio come Amatrice, se ne respira il fascino e insieme la fragilità. Tutti qui sanno di vivere in una zona a sismicità uno, la più elevata, e chi può ha rinforzato e costruito la propria casa secondo criteri di resistenza. Ma si può conciliare la conservazione dei beni culturali e storici con la tenuta antisismica? 

“Qui a Norcia lo abbiamo fatto. Utilizziamo lo stesso metodo dei giapponesi, cuscinetti di gomma e acciaio. Abbiamo una scuola regionale specializzata in questo – spiega Paolo Mancinelli, il coordinatore del COM (Centro Operativo Misto) di Norcia - . E’ solo questione di soldi. La prevenzione, quella vera, costa”. 

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